Storia della nascita del mito Harley Davidson in Italia

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Massimo
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Storia della nascita del mito Harley Davidson in Italia

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Riporto questo scritto che narra la storia dell'uomo che ha saputo introdurre le Harley nel nostro paese, creandone il MITO.
Cit.
Carlo Talamo è stato, fra le altre cose, colui che ha creato il fenomeno Harley-Davidson in Italia ed ha riportato le Triumph nel nostro mercato. E’ stato un personaggio fuori dal comune.
Non era amato da tutti, ma c’era chi lo venerava e lo avrebbe seguito ovunque. Carlo aveva un grande dono impagabile: sapeva comunicare.
E soprattutto aveva qualcosa da dire. Il fatto stesso che se ne continui a parlare, ne è il segno più evidente.
Se però si cerca di vedere un pò oltre, se ci si spinge un pochino più in là delle apparenze, si scoprirà che in realtà esistevano due distinti “Carlo Talamo”.
Il primo è il Carlo che tutti noi abbiamo imparato a conoscere attraverso le sue pubblicità, le moto, le poesie, gli scritti, ed i racconti di chi lo ha conosciuto nelle occasioni “ufficiali”… in poche parole il personaggio pubblico.
Il secondo Carlo è invece il Carlo vero, un uomo con una personalità molto complessa, una persona con notevoli e repentini cambi d’umore con il quale non era facile convivere.
In queste pagine cercherò di raccontare la storia e le imprese del Carlo “pubblico” lasciando il ricordo del vero Carlo Talamo alla memoria di chi l’ha conosciuto veramente a fondo.
Carlo Talamo non è più tra noi oramai da qualche anno (2002), ma il suo spirito, il suo stile, la sua filosofia, il suo modo di approcciare il cliente si può ritrovare ancora intatto in alcuni storici concessionari Triumph o Harley-Davidson. Carlo vive ancora oggi in alcune delle sue storiche concessionarie come simbolo di un modo speciale di vivere e vendere le motociclette.
Io non mai incontrato Carlo. Perché allora queste pagine? Semplicemente perché grazie a lui sono entrato nel mondo “Harley” dove ho conosciuto tutti gli amici che oggi sono parte della mia vita. Vorrei mantenerne vivo il ricordo … e dare la possibilità anche a chi non l’ha conosciuto di (ri)scoprirlo.
INTRODUZIONE
Difficile spiegare a chi non lo conosceva chi era Carlo Talamo: un personaggio unico che aveva fatto delle moto la sua vita, contagiando tutti quelli che gli stavano vicino fin da quando, da ragazzo, si accorse che un motore e un manubrio sapevano regalare sensazioni uniche. Un poeta nel suo genere, capace di vedere dietro a un “pezzo di ferro” cose che gli altri non riuscivano neppure ad immaginare. E sapeva trasmettere tutto ciò con i suoi gesti, con le sue parole, perché una moto, per lui e per tanti altri come lui, è qualcosa di speciale, di vivo. Le sue poesie, scritte inizialmente per le pubblicità delle Harley-Davidson, raccontano cosa si prova ad essere un motociclista.
Leggetele e vi verrà voglia di scendere in garage, prendere la moto, ed andare….
In una delle prime pagine pubblicitarie, Carlo scriveva “comprate una moto, non importa la marca o la cilindrata o l’età, ma comprate una moto”. In un’’altra intervista “Voglio moto vere, non soprammobili da mostrare agli amici, oppure da usare e gettare dopo qualche mese perché è uscito il nuovo modello. Adoro le moto vissute, come quelle dei pony-express di Londra perché sono collage incredibili di pezzi presi qua e là per risparmiare e continuare ad andare in giro. Sono oggetti vivi pieni di quella fantasia che da tanti anni predico tra i miei amici e clienti.”
Carlo era un personaggio decisamente particolare, di quelli che suscitano immediatamente odio o amore ma comunque non lasciano indifferenti. Alla soglia dei cinquant’anni non aveva perso il gusto di inventare modifiche di ogni genere (meccaniche ed estetiche), né quello di andare in moto.
Non si limitava al solo commercio, anzi, la sua era una passione tale da convincere i produttori a modificare i modelli esistenti secondo la sua creatività e gusto personali. Il segreto del suo successo? “Io parto da un concetto di base: sull’autostrada ci vanno tutti, io preferisco andare per un sentiero di campagna. Sicuramente incontrerò meno clienti, ma quei pochi sono tutti miei. Basta una moto, quella che piace a me”.
Negli anni molte sono le special create da Carlo sia su base Harley-Davidson che Triumph: la sua storia professionale trabocca infatti di belle moto da lui pensate, dove ha sempre dimostrato capacità di valorizzazione, originalità, cultura storica e buon gusto.
Rideva molto di se stesso e si prendeva molto in giro. Amava mettersi in mostra in modo ironico ma sempre intelligente.
STORIA
Carlo Fulvio Talamo Atenolfi Brancaccio di Castelnuovo, figlio di nobili decaduti, nasce a Roma il 18 novembre 1952 dove trascorre i primi anni della sua vita, ma ben presto si trasferisce a Milano dove farà presto fortuna.
In un articolo pubblicato su In Moto Extra (agosto/settembre 1994) Carlo Talamo scrive: “Si sono romano, nato a Roma, vissuto per lo più lontano da Roma, in campagna prima e in un paesino al mare poi. Qualche anno all’estero, in Francia, in Belgio, in Inghilterra. E poi tornato a Roma per una quindicina d’anni. Il resto qui a Milano”.
Del periodo romano si hanno poche notizie, l’unica certezza è che fin da piccolo amava qualsiasi mezzo a due ruote… come la maggior parte dei suoi coetanei d’altra parte. Motorini scassati, vespe e poi il tassello. Carlo scrive in un racconto per la pubblicità HD di essere stato letteralmente fulminato da una Harley-Davidson quando, nel ’59, ne vide una nella piazza del paesino in Calabria dove soggiornava… forse uno dei suoi racconti romantici più che un vero ricordo.
Di vero sappiamo che Carlo non ha mai amato molto frequentare la scuola. In un articolo scritto di suo pugno per Legend Bike (dicembre 1992) si legge: “A scuola ci sono andato per una vita. Ne sono uscito stanco, malconcio, pieno di vizi e con la licenza media. Non lo dico per piangermi addosso. Ne per far pena. Lo dico perché è vero. Per stabilire, con chi fosse interessato alla mia biografia, un corretto angolo di visuale. Io non sono scemo, sennò mi avrebbero mandato a casa dopo la terza elementare. Però non sono neppure un’’aquila altrimenti l’università col berretto quadrato, la laura attaccata al muro e tutto il resto non me la levava nessuno. Ma le cose nella vita vanno come vanno (…). Io, una laurea in scienza economiche con master in comunicazione e tesi sul ruolo dell’impresa nella realtà degli anni 2000 non l’ho ottenuta. Neanche pagando, l’avrei ottenuta. Il mio fare un po’ ruspante è il frutto della mia terza media.”
Carlo ha avuto un passato di competizioni nel motocross. Tra il 1973 ed il 1979 gareggiò con le 250 ed in particolare con la Husqvarna e la KTM.
Ricorda MaxBrun: “Talamo me lo presentò mio padre in occasione di una uscita: mi ritrovai di fronte un ragazzetto romano dall’’aria un po’ sbruffona e con le scarpe di legno, la prima cosa che pensai fu :“Ma chi si crede questo?”. Ma bastò una smanettata fra i boschi per farmelo conoscere ed amare: ci bastonò tutti!”. Carlo ci sapeva fare in moto. Parlate con chiunque abbia avuto l’occasione di girare con lui e vi dirà che andava forte: sia che stesse guidando il suo Softail Giallo, la sua Tiger mimetica o la RS, Carlo era sempre davanti a tutti.
“I PRIMI ANNI A MILANO e GIOVANNI CABASSI”
Perché Carlo decide di lasciare Roma e trasferirsi a Milano? Le motivazioni furono sostanzialmente due: lavoro e donne! Carlo non si trova bene a Roma, si era reso conto che la qualità e la tipologia del mercato del lavoro di Roma non era quello di cui lui aveva bisogno. Poi ad un certo punto suo padre gli dice che non hanno più soldi e Carlo, vista la mancanza di sbocchi a Roma, segue Francesca, la fidanzata di allora, nella sua città natale: Milano. Siamo nel 1978 e Carlo ha 26 anni quando arriva nella città meneghina accompagnato, oltre che da Francesca, dalla sua Trident 750 acquistata nel 1973. La mitica Frankie.
Poco dopo il suo arrivo a Milano, Carlo lascia Francesca per mettersi con la sua (di lei) migliore amica: Patrizia. Perché vi cito queste due donne? Perché entrambe sono amiche d’infanzia di Giovanni Cabassi che negli anni diventerà uno dei pochi veri amici di Carlo.Ricorda Giovanni: “La migliore amica di Francesca è Patrizia quest’altra mia amica e sorella di mia moglie con cui usciamo assieme da quando eravamo ragazzini. Carlo lascia Francesca e si mette con Patrizia con cui io e mia moglie ci vediamo ogni sera. Carlo arriva a Milano senza lavoro ma aveva qualche conoscenza e va a lavorare per l’agenzia pubblicitaria di Fabio Cei il cui più grosso cliente è Fernet Branca. Un altro cliente di cui si è occupato Carlo per un certo periodo è Omsa, il produttore di calze. Per il primo anno Patrizia e Carlo fanno vita per conto loro. Arriva il primo windsurf a Roma e Carlo lo porta a Milano. Qui a Milano nessuno aveva mai visto un windsurf dal vivo e Carlo fu l’unico in mezzo al lago di Garda quell’inverno ad usare questa nuova cosa: all’epoca in Italia il windsurf non esisteva. Ha insegnato a Patrizia ad usare il windsurf ed è diventato lui stesso un fenomeno sopra la tavola. Per Carlo era un modo per scappare da Milano dove non conosceva nessuno.”Giovanni ricorda benissimo la sera in cui ha conosciuto Carlo: “Era la primavera del 1980 quando una sera io e mia moglie decidiamo di andare al teatro Carcano a vedere quel fenomeno di Jango Edwards. C’è anche Patrizia che dice “Vi dispiace se vengo con voi con il mio fidanzato di Roma?” E così Carlo Talamo e Giovanni Cabassi si incontrano per la prima volta. “Ricordo che arrivò con questa Golf completamente bianca, letteralmente colata nel bianco, cosa abbastanza normale oggi ma non nel 1979: aveva i tergicristalli bianchi, paraurti bianchi e anche gli specchietti retrovisori bianchi. Già da lì si capiva che era un precursore dei tempi ed un customizzatore a suo modo. La sera dopo Patrizia e Carlo vengono a casa mia in sella ad una vecchia Triumph Trident, con la quale ha successivamente fatto la pubblicità della Omsa, moto che si chiamava Franky in onore della Francesca (la precedente fidanzatina). Arrivano in moto, io sento il rumore della motocicletta mi affaccio alla finestra e dico a Carlo “Ma hai la motocicletta?” – “Perché anche voi avete la motocicletta?” – “Noi siamo malati di motociclette!”
“Con Carlo è nato un affetto forte subito: con il fatto che eravamo gli unici che conosceva ad andare in giro in motocicletta ed il fatto che Patrizia era nostra amica da sempre, Carlo ha trovato da noi un ambiente familiare. All’epoca non era messo bene con i soldi e viveva in un piccolo appartamento in viale Piave pagato dalla mamma. Io quando potevo gli davo qualche lavoro (tipo cartelle stampe da sviluppare) ma soprattutto gli ho dato un luogo dove giocare con le motociclette. Da quando Carlo è sceso in garage la mia auto non è più stata al coperto: il mio garage è diventato la sua officina.”
Carlo trascorre i primi anni a Milano tra lo studio pubblicitario di Fabio Cei (di Carlo una campagna per Omsa ed il nome “Prince” coniato per un nuovo biscotto di una famosa casa dolciaria) ed il garage di Cabassi dove lavora sulle Triumph (parliamo delle vecchie Triumph di Meriden): a chi voleva una vecchia Triumph, Carlo la cercava, la metteva a posto e le modificava secondo l’esigenza del “cliente”. All’epoca scriveva anche qualche articolo per motociclismo: si faceva dare le moto in prova, le teneva qualche giorno e poi inviava l’’articolo alla rivista. Se cercate in qualche vecchio numero di Motociclismo (tra il 1978 ed il 1983) potreste imbattervi in qualche articolo scritto da Carlo.
NASCITA DELLA NUMERO UNO
INIZIA IL MITO HARLEY-DAVIDSON IN ITALIA
Nel 1983 Carlo conosce Roberto Crepaldi e MaxBrun con i quali fonderà l’anno successivo la Numero Uno. Fra i vari compiti a lui affidati nell’agenzia pubblicitaria di Fabio Cei, quello più importante, nel senso che gli cambierà la vita, è portare in officina per i tagliandi la Ferrari Daytona del titolare! L’allora importatore per la Lombardia delle mitiche auto di Maranello era il padre di Roberto Crepaldi, futuro socio di Carlo e appassionato motociclista.
Durante queste visite in officina i due fanno conoscenza e si scambiano idee sul mondo delle motociclette. Destino vuole che la stessa officina era frequentata da un altro appassionato di Ferrari e di motociclette: Claudio Castiglioni, che con il fratello, era proprietario della Cagiva ed importatore delle Harley-Davidson in Italia. Da cosa nasce cosa,… i fratelli Castiglioni volevano sbarazzarsi del marchio americano e così per 90 milioni delle vecchie lire cedono a Carlo, Roberto e Max l’importazione delle HD e vendono loro il vecchio magazzino ricambi. A tal proposito Giovanni Cabassi ricorda: “L’acquisizione dell’’importazione della HD era subordinata all’acquisto del magazzino ricambi. Castiglioni disse “se mi ritirate il magazzino vi do l’importazione”. Si trattava di un ammasso di vecchi “rottami” raccolti negli anni e quasi senza valore. Ricordo bene perché ho aiutato io stesso Carlo a sistemare il magazzino non appena arrivarono le casse a Milano.”
Uno dei motivi di successo della Numero Uno
Nel 1984 i tre giovani soci non avevano il capitale necessario per pagare Castiglioni e costruire la prima officina: saranno infatti i genitori di Roberto Crepaldi e soprattutto MaxBrun a finanziare l’avventura.
Nasce così, il 26 giugno del 1984, la Numero Uno, con sede in un negozietto di un paio di vetrine all’angolo di via Fioravanti e via Niccolini, zona Paolo Sarpi sede della vecchia officina Ferrari di Crepaldi, ora diventata la China-town milanese. Sarà la prima concessionaria Harley-Davidson d’Italia. Il nome del negozio nasce da quel 1 che era il marchio di Harely Davidson a quei tempi.
L’inaugurazione del negozio avviene nel gennaio del 1985 sotto alla più grande nevicata di sempre di Milano.
All’inizio dell’avventura la Numero Uno di Milano non era l’importatore unico delle Harley-Davidson per l’Italia, ma in poco tempo Carlo e soci riescono ad ottenere l’esclusiva.
Quante furono le prime Harley-Davidson ad arrivare a Milano? C’è chi racconta di otto motociclette, mentre in un vecchio articolo del corriere ho trovato queste righe: “Si narra che all’inizio la Numero Uno importò cinque moto a Milano: per cinque amici. E’la prima banda. Weekend, ritrovi in trattorie fuori porta. Poi ne importarono altre cinque. La banda sale a dieci… e così via.” I primi anni della Numero Uno sono quelli “pionieristici” quelli che Carlo ricorderà sempre come gli anni più belli “in cui la Numero Uno era tutt’uno con me”.Una preziosa testimonianza dei primissimi tempi della Numero Uno arriva direttamente da Carlo Talamo attraverso le parole scritte in “Cilindri, Bulloni & Facce” il bellissimo libro fotografico pubblicato con l’amico Giovanni Cabassi. Si tratta di un libro che raccoglie 50 ritratti di motociclette e loro proprietari: sono quasi tutti ritratti dei primi clienti della Numero Uno.
Nell’introduzione Carlo scrive: “Così, un giorno, davanti alla noia del mondo che vedevo attorno e davanti agli interrogativi che si accumulavano (non risolti) nella mia mente presi una decisione: comprai una Harley. Nera, lunga e rumorosa come una locomotiva. E decisi per un avvenire assieme a lei. Ed insieme a due soci con i quali, soli contro tutti, aprii un giorno di cento anni fa (2 gennaio 1985) un negozio di Harley-Davidson. Così ho cominciato io: con il cuore e con i debiti e due soci che mi volevano bene… ““Aprii la porta di questo negozio in un gennaio, con due metri di neve sulla strada, niente male per un inizio, e le poche persone che entravano chiedevano immancabilmente le stesse cose. ‘Ce l’ha la marcia indietro?’ e poi ‘Come sono belle, peccato che la fabbrica è fallita’ e ancora ‘Come sono restaurate bene, chissà quanti anni hanno’. Ed io mi sentivo come se stessi parlando americano nel centro della Piazza Rossa. E rispondevo come in un disco: no, non ha la retromarcia, guardi che l’Harley-Davidson non è fallita, non sono restaurate e non sono vecchie. Sono nuove.Per tre mesi. Tutti i giorni. Poi vendetti la mia prima Harley. Tremavo nel compilare il contratto: se c’era uno disposto a spendere venti milioni per una Harley allora non ero solo. Poi, timidamente, arrivò un altro ed un altro ancora. Oggi (1986/7) sono in tanti e me li ricordo tutti.”
La passione dei tre soci per le motociclette tassellate porterà alla neonata Numero Uno a commercializzare anche le svedesi Husqvarna. Durò pochi anni l’avventura con la casa svedese, ma fu intensa. Dice Brun: “Non mancarono i colpi di genio: la pubblicità pensata da Carlo con il solo particolare di sella e serbatoio a doppia pagina, o i bozzetti della moto con serbatoio nel codino erano avanti anni luce” (tratto da Rider nr. 20).Dei tre soci, Carlo fu quello che probabilmente più degli altri contribuì al successo dell’impresa. Si installò nel negozietto e iniziò a vendere quelle allora – invendibili moto. Per imporle nuovamente all’attenzione del pubblico, impiegò tutte le sue doti di comunicatore.Avendo alle spalle un’esperienza di pubblicitario decise di mettere inizialmente la sua faccia in tutte le inserzioni pubblicitarie per Harley-Davidson, che impostò abbinando se stesso alle immagini delle moto. Anziché mettere dati tecnici su cilindrate, velocità o altro, inserì come copy dei testi equiparabili a poesie che evocavano le sensazioni e la gioia di andare in moto.
Nel primo anno della Numero Uno, Carlo frequentava abitualmente la casa di Cabassi: cenava lì quasi tutte le sere. Giovanni non era socio della Numero Uno ma ha comunque potuto vivere i primissimi tempi della società in prima persona, discutendo e chiacchierando con Carlo ogni sera davanti ad un piatto di minestra: “Come facciamo le prime pubblicità?” – “Facciamole senza marchio!”
E da lì nacquero le prime famose pagine pubblicitarie della Numero Uno.Questi straordinari ed insoliti testi adagio adagio catturarono l’attenzione di tutti gli appassionati di moto (e non solo delle Harley-Davidson).
C’è da dire che Carlo ha anche avuto la fortuna di prendere l’importazione Harley-Davidson nel momento in cui la fabbrica aveva deciso di cambiare tutto: nuovo motore Evolution, nuova strategia di marketing per rilancio mondiale con claim “Proud to be American”. Tutto questo ha coinciso con la sua capacità straordinaria di comunicare ed il boom economico che stava vivendo “la Milano da bere” di quegli anni. Ci furono poi personaggi famosi che si innamorarono delle Harley-Davidson e che furono testimonial importanti: si pensi a Jovannotti e alla sua canzone dedicata alla “sua moto”.La sua prima concessionaria, la Numero Uno Milano, dal piccolo negozio di cui abbiamo parlato più sopra si trasferisce in una bellissima sede in via Niccolini; dalle poche moto vendute nel primo anno di attività (una quindicina) negli anni è diventata una delle più forti concessionarie del mondo.
Carlo Talamo, grazie alla sua passione e alle doti di comunicatore, riuscirà trasformare le Harley-Davidson, fino ad allora considerate anacronistiche, in un vero status symbol.
Dal mondo delle Ferrari da cui proveniva Roberto Crepaldi, la Numero Uno ha importato la formula del negozio monomarca, la cura nell’arredamento caratterizzando così con uno stile ben preciso le concessionarie.
Oggi questo è normale ma nel ’84 era assolutamente innovativo.
La concessionaria Numero Uno Milano è andata al di là di qualsiasi aspettativa e pronostico, riuscendo a essere per cinque anni consecutivi “best dealer in the world”, incrementando il mito del marchio di Milwaukee e contribuendo, grazie alle idee di Carlo, alla progettazione di alcune motociclette, come la Night Train e la Buell S1 Lightning. Dalle 15 motociclette vendute il primo anno si passa alle 800 del ’90 ed alle 1900 del ’92.Nel 1989 in occasione del salone motociclistico di Milano, Carlo Talamo intervistato da Motociclismo dice:
“La nostra assegnazione ’89 era di 500 pezzi, a maggio li avevano già venduti tutti.”Dopo la prima Numero Uno di Milano, apriranno altre “Numero Uno” a Savona, Mantova e via via in tutta Italia. Agli inizi degli anni ’90 si decide di ampliare la rete vendita creando le officine “Americana”e successivamente le “Americana Sport” dedicate alle Sporster.
Con gli anni il successo dell’azienda “Talamo” cresce: le Harley-Davidson si vendono bene, le Triumph iniziano a decollare ed anche il business con le auto (Rolls Royce e Bentley) sembra essere positivo.
Con la fine del 1995 questa è la situazione del gruppo di Carlo:- Numero Uno Italia S.p.a. sede legale Via Niccolini,33
– Numero Uno Srl via Fioravanti, 12
– Numero Uno Milano Srl via Fioravanti, 12
– Numero Uno Garage Srl via Fioravanti, 14 (sede legate Niccolini 33)
– Gialloquaranta Officina in via Fioravanti 19/21 (ex Crepaldi Auto Spa)
– Gialloquaranta Esposizione Via S.Pietro all’ Orto, 11
– Gialloquaranta Negozio via Niccolini, 28
– Italiana grandi noleggi v.le Industria Arese 10/17
– Numero Tre Srl: sede legale via Niccolini, 25/A, deposito Arese viale delle Industrie, 10/17
– Numero Tre Srl: officina via Niccolini 25/A
– Capannoni Harley-Davidson e Triumph in viale delle industrie 10/17 ad Arese
– In via Niccolini i numero civici 29, 32, 33 sono occupati da negozi e depositi- Roma Numero Tre – Via Spaventa 15/17 (negozio+officina) e abbigliamento in via Spaventa, 28
– Roma Numero Tre – Via Aureliana 65/67/69
– Firenze Numero Tre – Via B.Montelupo, 28 A/B/C
– Firenze Numero Tre – Via B.Montelupo, 30 A/B/C
Tutte le società, compresa la Italiana Grande Noleggi, fanno capo alla Numero Uno Italia S.p.A. che è la holding del gruppo. Il responsabile amministrativo, che opera dietro tutto questo gran movimento (il gruppo ha ormai più di un centinaio di dipendenti e supera i 100 miliardi di lire di fatturato) è Roberto Fasolini, succeduto al rag. Giovanni, che nel 1996 ha lasciato Carlo per andare in seminario! Roberto è colui che più di tutti gli altri collaboratori è vicino a Carlo, per evidenti motivi. E’ il custode delle sue finanze.
E’ bello ricordarlo, perché, a seguito di un banale incidente in moto, scompare nel dicembre del 2001.
La seconda metà degli anni ’90 sarà più difficile dal punto di vista aziendale: seppur le vendite Harley-Davidson e Triumph siano in crescita, il basso valore della lira rispetto alla sterlina e al dollaro crea non pochi grattacapi alla società di Carlo.Nel 1998, le aziende che fanno capo a Carlo necessitano di una ristrutturazione e di una razionalizzazione per ottenere benefici sul piano amministrativo, finanziario ed operativo. Il cambiamento si concretizzerà con la fusione di Numero Uno, Numero Tre, Gialloquaranta (l’importatrice per l’Italia delle auto britanniche Bentley e Rolls-Royce che Carlo ha voluto, prendendo il posto di Achilli), e 83R nella nuova Numero Uno S.r.l. e della Numero Uno Milano, Numero Tre Milano e Numero Uno Garage nella Numero Uno Milano S.r.l.Dal 25 luglio 1998 la nuova Numero Uno S.r.l. con sede ad Arese si occupa dell’importazione di tutti i marchi di moto (Triumph, Harley-Davidson/Buell), mentre l’altra nuova società – Numero Uno Milano S.r.l. con sede a Milano e filiali a Firenze e Roma – commercializza, le Triumph nei negozi con colori Numero Tre e le Harley-Davidson/Buell nei negozi coi colori Harley (nero e arancione).
La gestione della Numero Uno e della Numero Tre richiedono sempre più impegno: è un lavoro da manager che poco si addice all’accentratore che è Carlo.
Infatti in un intervista sul Corriere riporta più sotto dice: “Sapevo che sarebbe arrivato questo momento. Non mi divertivo più.
Il futuro è fatto di metodo e formazione, parole a me sconosciute”.Carlo infatti è stanco dei problemi quotidiani derivati dalla gestione di un’azienda (burocrazia, sicurezza, amministrazione, banche, …) e vuole tornare a fare quello che faceva un tempo: costruire nuove moto.Una delle particolarità di Carlo era la sua abitudine di girare con le superga bianche rigorosamente senza calze (anche d’’inverno). Questo fatto viene riportato un pò ovunque quasi mitizzandolo. In realtà durante gli ultimi inverni, su consiglio del medico, aveva dovuto piegarsi come tutti alle leggi della natura ed iniziò ad usare le calze per risparmiarsi i dolori causati dal freddo (leggi reumatismi).
SI CAMBIA PAGINA
Nel 1999 Carlo inizia la trattativa con l’ HD per la vendita della Numero Uno ed allo stesso tempo è in trattativa con la RollsRoyce per chiudere l’avventura G40 (con la quale perse un mucchio di quattrini). E’un periodo in cui Carlo è sotto stress come lui stesso scrive in una e-mail interna del 25-01-2000: “Se io guardassi alle centinaia di delusioni umane che ho sopportato durante gli ultimi anni ti assicuro che sarei diventato una persona di merda. Fortunatamente continuo a mettere tutta la mia energia per combattere una guerra che pochi in questo paese vogliono combattere: guidare, in Italia, un’azienda fatta di italiani. E guidarla con tutta la correttezza e tutte le palle che sono capace si mettere a disposizione. Di più non posso. Ogni tanto, lo confesso mi viene da piangere e da far le valigie. Di arrendermi. Poi, il giorno dopo risalto su.
Però è durissima” firmato “Carlo (che non è stanco, è molto stanco. E non può lamentarsi con nessuno).
”Relativamente alla vendita della rete Numero Uno alla Harley-Davidson, Marco Marchisio ricorda:
L’Harley ha cominciato ad entrare direttamente nei vari mercati dal 1990 in poi man mano che il business europeo si espandeva. Carlo T sapeva che prima o poi sarebbero arrivati anche in Italia. Per questo ad un certo punto si rese conto che la rete che stava costruendo “alla Talamo” – cioè basata sulla stretta di mano tra lui e il gestore della concessionaria nelle varie sedi era estremamente fragile.
Le varie Numero Uno Bologna, Bolzano, Brescia, Genova, Savona, Padova, Palermo, Napoli ecc. non avevano alcun legame ufficiale con lui.
Carlo capì che nel momento in cui Harley si fosse fatta avanti, doveva avere in mano una “vera” organizzazione commerciale che dipendesse al 100% da lui, e non che fosse libera di acquistare direttamente da Harley se Harley lo avesse messo da parte.
Fu il momento della svolta e in breve riorganizzammo tutto.
Preparai un contratto di franchasing che ogni concessionario fu obbligato a firmare, e che lo legò direttamente alla Numero Uno … omississ … Quando la rete Numero Uno fu pronta, Carlo T seppe che se Harley veniva in Italia, avrebbe dovuto comunque passare attraverso di lui per avere una rete di vendita.
“Quando HD fece pressing su CT per entrare in Italia, CT disse: bene, se volete entrare, io ho la miglior rete di Concessionarie monomarca che voi possiate desiderare.
Quanto offrite? Naturalmente HD offrì poco, e CT disse che, siccome la rete di vendita era sua, se HD voleva, poteva farsene una nuova.
Capisci che una rete di vendita non si improvvisa, nè HD poteva vendere direttamente alle nostre concessionarie scavalcando Carlo, perchè le Concessionarie erano legate a noi da un contratto.
HD aveva fretta di entrare nel nostro mercato, e siccome CT non mollava dopo un anno di trattative sempre più serrate, il 1° Ottobre 2000, HD firmò e acquisì tutta l’organizzazione Numero Uno (Arese e rete Numero Uno, Americana e Americana Sport). Ricordo che la riunione di presentazione dell’HD alla rete era fissata in un albergo sul Lago Maggiore, e CT e HD finirono di siglare le pagine dell’accordo di cessione qualche ora prima passando tutta la notte a chiudere la trattativa.
CT incassò un bel pacco di soldi (tanti) ma se li era guadagnati veramente, e se HD pagava, significa che l’affare valeva la pena di essere fatto.
Il 2 ottobre 2000 Carlo vende la Numero Uno S.p.A. alla Harley-Davidson.
Carlo si dedica completamente alla Triumph non solo come importatore ma anche iniziando a collaborare con la casa inglese per la definizione dei nuovi modelli. Collaborando con la casa inglese inizia la sua attività di “consulente”: Carlo applica la sua ricetta e partendo dai modelli di serie crea nuovi prototipi da sottoporre alla dirigenza inglese: la Bonneville Cafè Racer, la Bonneville Scrambler, la RS.S, la Tiger Sport e la Speed S. .
Nell’intervista di presentazione della Tiger Sport, Talamo scrive “Comunque, tornando ai miei rapporti con la Triumph, ti dicevo che mi piace molto questa mia nuova veste. Non sono stato pagato per questo prototipo, ma mi è servito per iniziare questo mio nuovo ruolo. Ti dirò di più: mi piacerebbe fare il consulente per più aziende. E magari, perché no, anche italiane. Perché secondo me l’intelligenza è scesa come la pioggia ovunque. E non solo a Milwaukee, a Hinckley e a Mukwonago (eh eh, scommetto che ti stai chiedendo che cavolo centri, ma è la sede della Buell). Quindi a me piacerebbe dare molto alle aziende di moto: prima di dare, però, devi avere e io sono convinto di poter ottenere molto da quella parte di intelligenza dei Marchi italiani.
Sistemate le Harley-Davidson e le RollsRoyce, a Carlo rimane “solo” l’importazione della Triumph con la Numero Tre che viene venduta alla casa inglese nel settembre del 2002 (nasce così Triumph Italia). Carlo ora è libero da ogni impegno con le grandi case, ha un conto in banca che farebbe invidia a chiunque (svariate decine di miliardi delle vecchie lire) e finalmente si realizza così il suo sogno: voleva disegnare motociclette fin dall’età di sedici anni quando tentò invano di iscriversi ad una scuola di Industrial Design belga. Carlo ha così la possibilità di iniziare una nuova vita.
Un’altra sfida lo attendeva con la passione e l’entusiasmo di sempre. Aveva intenzione di dar vita ad un centro di design per dar sfogo alla sua straordinaria creatività. In tasca un contratto con la Triumph, ma pensava anche ad altre Case (Guzzi?) e stava lavorando ad una futura Laverda…. purtroppo scomparirà il mese successivo.
Carlo nella sua vita ha fatto un mucchio di quattrini ma diceva “voglio morire senza una lira” nel senso che voleva spendere tutti i suoi soldi. E’morto ricchissimo e non è riuscito a spendere la fortuna accumulata… e non ha neanche avuto il tempo di godersi i suoi giocattoli, almeno non quanto avrebbe voluto.
Luigi Boga, che vende Triumph a Milano dal 1993 (fino al 2001 con Carlo alla Numero Tre di via Niccolini e successivamente nel nuovo concessionario in via Gorizia) si è occupato delle vendita di alcuni dei “giocattoli di Carlo”.
Ad Arese, nel capannone di fronte a quelli di H-D e Triumph, Luigi ha contato – e poi venduto – 56 automobili una più bella dell’altra (tra cui una Ford GT40 ex-Alboreto).
Per non parlare del materiale custodito al “fortino” in via Niccolini…
29 Ottobre 2002
Carlo era in sella ad una delle sue Triumph (la Sprint RS nr. 100.000 Lucifer Orange) e stava percorrendo l’autostrada A12 Livorno-Genova nei pressi di Viareggio. E’ il 29 ottobre del 2002, mancano venti giorni al suo 50° compleanno.
Talamo era entrato alle 11,30 al casello di Livorno e stava percorrendo l’autostrada in direzione nord, probabilmente diretto a Milano. Intorno a mezzogiorno lo schianto: L’imprenditore non deve aver notato che – a causa dei lavori di manutenzione alla siepe spartitraffico in corso nei pressi dell’area di servizio «Versilia», lavori che imbottigliavano tutto il traffico su un’unica corsia – si era formata una coda di un chilometro subito dopo l’uscita di Viareggio. E, quando ha frenato, la moto è schizzata prima sul guard-rail, poi è andata ad infilarsi sotto il furgoncino della Tecno-mec, una azienda di La Spezia specializzata in acciai speciali. «Ero fermo in colonna alla guida del mio furgoncino con tanto di doppie frecce accese – spiega ancora visibilmente scosso Giacomo Regali, ventinove anni, spezzino – quando ho sentito una botta tremenda alle mie spalle. Ho guardato nello specchietto retrovisore per capire cosa fosse successo, ma non ho notato niente. Poi, quando mi sono affacciato dal finestrino, ho visto la moto distrutta e il corpo del conducente sull’asfalto».Allertata da alcuni automobilisti di passaggio, la centrale operativa del «118» ha immediatamente mandato una ambulanza sul luogo dell’incidente. Ma quando il medico lo ha potuto visitare, Talamo era già morto. Troppo violento l’impatto prima con il guard-rail e poi con l’asfalto. E a nulla è servito anche il casco di protezione regolarmente calzato in testa.
I funerali si sono svolti il primo novembre 2002, in una piccola chiesa del paese di Scansano, in provincia di Grosseto, alla presenza dei familiari, di tanti amici, dei suoi dipendenti ed ex dipendenti.
Ricordo come fosse ieri la bara con il casco bianco appoggiato sopra. Molte persone erano presenti, ma a dire il vero mi sarei aspettato di vedere molti più concessionari. Non eravamo tanti in moto. Ricordo la giornata umida e nuvolosa… Ricordo la nebbia che ho trovato in cima agli appennini.
Vorrei concludere questa pagina con due righe scritte da Marco Marchisio:
4 Novembre 2002 – San Carlo.
La frase più stupida che ho sentito al funerale diceva “Pensare che Carlo muoia in moto…..” come se fosse un’eresia, come se il papa avesse dichiarato che voleva farsi maomettano.
Ma non si può fare a meno (secondo me, ma credo che molti altri lo pensassero, senza mai dirlo espressamente), di considerare che uno che guidava le moto (e le auto) come Carlo, è sempre stato a rischio, e quindi poteva essere strano che non gli sia capitato un incidente prima.
Un trapezista fa un mestiere pericoloso, ed è bravo a farlo. Non per questo è escluso categoricamente che una volta possa mancare la presa, e precipitare. Per fortuna c’è la rete.
Per Carlo la rete non c’era. E andare in moto, è sempre molto, ma molto pericoloso.
Ne sappiamo, tutti noi motociclisti, qualcosa.
Nel 2003 ad un anno di distanza……dalla sua scomparsa alcuni amici hanno voluto ricordarlo pubblicando, sul alcune riviste del settore, un suo disegno del ’92 (tratto da una pubblicità HD) :
Nel 2014…
Sono ormai passati dodici anni dalla scomparsa di Carlo e durante questa mia ricerca ho trovato persone alle quali Carlo manca veramente, altre persone invece che forse erano più attaccate ai suoi soldi…. Sembra che siano poche le persone che vanno a fargli visita in cimitero nonostante molti si proclamino suoi amici.
Carlo riposa nel cimitero di Scansano (GR), quando passate da quelle parti fermatevi per un saluto.
T E S T I M O N I A N Z E
da ROBERTO CREPALDI (Socio fondatore della Numero Uno e Numero Tre dal 1984 al 1993)
Ho avuto l’opportunità di conoscere Carlo Talamo quando era solo uno “sfigato” che lavorava come pubblicitario per Fabio Cei e quasi tutti qui a Milano lo snobbavano perché era un “Romano” e per di più squattrinato…
Credo di essere stato all’epoca (inizio anni ’80) uno dei pochi ad essergli amico (condividevamo la passione per l’enduro, le classiche Inglesi, le Harley, oltre ai momenti di tempo libero e le gogliardate connesse) per poi dargli tangibilmente fiducia costituendo insieme nell’ ’84 la Numero Uno.
L’opportunità nacque dall’offerta di distribuire la Harley-Davidson in Italia attraverso il rapporto coi Fratelli Castiglioni, allora miei clienti Ferrari (di cui ero il Concessionario per la Lombardia) che erano all’epoca i neo proprietari della Cagiva (ex Armacchi Harley-Davidson) e parallelamente gli importatori H-D per l’Italia. Questa opportunità unita alla disponibilità di alcuni nostri locali a Milano, in Via Niccolini, ci dettero il via per aprire il primo negozio e fondare insieme la Numero Uno. Perchè Carlo voleva da tempo occuparsi di moto e non aspettava un’occasione migliore per lasciare il mondo effimero della pubblicità per sporcarsi le mani con i motori e le due ruote, la sua vera passione.
Poi le cose con la Numero Uno sono andate avanti, sono cresciute, molto cresciute e, come molti potranno testimoniare, Carlo è cambiato: spesso ciò accade a chi ha avuto sempre poco e raggiunge rapidamente (e meritatamente aggiungo) il successo. Difficile da gestire questa situazione anche per i caratteri più strutturati e Carlo aveva le sue debolezze.
Per questo nel ’93, dopo quasi dieci anni insieme di lavoro e di soddisfazioni, dove prima la Numero Uno e poi la Numero Tre, erano diventate due serie e grandi realtà, ci siamo separati. Io ci tenevo a fare con lui una nostra moto (come poi ho dimostrato di poter fare col marchio CR&S) e lui non voleva che nessuno condividesse il suo potere.
Come si dice: i classici due galli nel pollaio…
Carlo in quegli anni era diventato un’abile uomo di marketing, sopratutto di se stesso (lo dico senza ironia ma, constatando la realtà) ma, purtroppo non c’era più la sincera amicizia degli inizi tra noi, quando si scherzava e ci si divertiva con poco andando in giro in moto insieme per zingarate.
A quell’epoca Carlo amava forse più le quattro che le due ruote ed in special modo le RollsRoyce (di cui poi divenne importatore e ne subì pesantemente il cambio di proprietà), frequentava amici forse meno sinceri, senz’altro meno casinisti, senz’altro ben educati e forse un pò snob (dalle due alle quattro ruote cambia il mood di fondo…) e in moto di conseguenza andava molto meno.
La sua nemesi è stata che la motocicletta, che gli aveva dato tutto e forse era stata un pò tralasciata negli ultimi anni per altre passioni, se l’è preso con se per sempre.
Con tutto questo, provo sempre un sincero affetto nel suo ricordo, perché, nonostante tutto, era comunque un uomo vero. Meglio senz’altro Carlo di tanti suoi “amici” dell’ultima ora, nella maggior parte solo degli adulatori e dei lecca cu*o, che lo hanno incensato quando era facoltoso, famoso e potente, ma che prima, quando era uno sconosciuto, non si sarebbero degnati di salutarlo.
Roberto Crepaldi (09-11-2010)
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HD Morris
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Re: Storia della nascita del mito Harley Davidson in Italia

Messaggio da HD Morris »

Bell'articolo! Rimango stupito che non si parli del "Palle Quadre"! Mi sarebbe proprio piaciuto parteciparvi.....se penso a cosa è diventato adesso.... :muto:

Ho sempre ammirato Carlo Talamo per la sua spiccata natura imprenditoriale e penso che l'articolo esalti giustamente questa sua capacità.
Non l'ho mai conosciuto e l'idea della persona me la sono fatta leggendo qua e là diversi articoli. Ad essere sincero fino in fondo l'ho sempre considerato un grandissimo appassionato di moto ma non biker....lo so, può sembrare strano ma questa è la mia impressione!
This is America. This is biker culture.
Get on. Hold tight. Shut up!


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